Prendete un intenso pomeriggio di merende in facoltà intervallato da pause di studio. Aggiungete un dispositivo telefonico con trasmissione di note vocali abbandonato in fondo alla borsa. La testa che fa fatica a concentrarsi nonostante i tappi per le orecchie, la disattivazione del traffico dati e le scorte di biscotti al cioccolato a mo’ di consolazione portate dall’amica. Il caffè che mi sveglia ma fa venire sete, il sole che batte sui vetri della finestra senza scaldare l’ambiente ed io puntualmente seduta con il riverbero davanti agli occhi. Strani personaggi con il capello lucidato dal gel attraversano il corridoio con il casco in mano, gli occhiali da sole e il cardigan di lana ad Aprile. Mi fanno venire più sete del caffè. Li farei sedere al mio posto con il riverbero solo per dare un significato alle loro lenti scure in un ambiente chiuso. Li lascerei boccheggiare lì sulla sedia dentro i loro dolcevita blu, mentre si passano le mani tra i capelli con la colla di pesce. Mixate tutti questi ingredienti ed otterrete lo stato di torpore che avvolge i pomeriggi in cui benedetta Primavera decide di proiettarmi nel suo mondo ovattato di raffreddore-sudore-sinusite, per poi nascondere gli ultimi fazzoletti in fondo alla tracolla.
Mentre con aria ansimante rovisto per strapparne uno al buco nero che utilizzo come borsa, d’improvviso il display del dispositivo telefonico con trasmissione di note vocali si illumina con quattro parole in sovraimpressione seguito da una registrazione dalla libera interpretazione: “Il rumore della Felicità”. Lo afferro al volo, inserisco le cuffie ed ascolto: nonostante l’aria concentrata con gli occhi strizzati e la ruga in mezzo alla fronte, non capisco che rumore faccia la Felicità. Chiedo l’aiuto del pubblico e passo le cuffiette per l’ascolto anche all’amica che ha portato le scorte di cioccolato: il risultato è un imbarazzante lavoro di immaginazione femminile, una roba da classico Disney anni Novanta pieno di principesse e fatine azzurrine. Le orecchie XX ascoltano esattamente ciò che vorrebbero ascoltare e concludo con qualcosa che non avrebbe potuto pensare neanche Biancaneve alle prese con la sua torta di mele: XY è andato al parco dietro casa, si sentono i cinguettii in sottofondo e questo glu-glu è il rumore dei sassi lanciati nel laghetto.
A quel punto m’illumino io, tutta questa poesia messa insieme fa intimorire persino il riverbero: mentre lontana da casa sono impegnata a divorare biscotti ed assaggiare capitoli del manuale qua e là, l’essere XY ha scovato un altro tassello del puzzle proprio dietro casa. Praticamente abbiamo trovato la chiave segreta del mondo: sappiamo dove si rifugia la Felicità ed ora sappiamo anche che rumore fa. E soprattutto, sappiamo che l’importante è comunicare subito a chi è lontano da casa che manca un pezzo in meno al quadro finale, anche inviando una registrazione dalla libera interpretazione.
L’unica certezza che resta in quei pomeriggi trascorsi nel mondo ovattato di benedetta Primavera è che “happiness is real only if shared”. Anche se quello non era il rumore di un parco Disney con i sassolini lanciati nel laghetto ma il gorgoglìo di un gorgogliatore di birra artigianale appena avviato,
Happiness is real only if shared.
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